Il giovane Raffaello: quando l’Umbria e le Marche non c’erano

giovane raffaello sant agostino
Alla scoperta dei primi passi del giovane Raffaello, quando l’alta Umbria e le Marche erano unite sotto il ducato di Montefeltro
La storia, si sa, la fanno i vincitori, oppure chi ha più potere. In campo artistico, il profilo di un artista è definito da chi detiene più opere (lo si è visto per la mostra celebrativa di Leonardo al Louvre…).
Per Raffaello, la parte del leone l’hanno sempre fatta i musei fiorentini, ricchi di opere derivate dal collezionismo granducale e, naturalmente, il Vaticano… due nuclei di opere che ci narrano dell’apice della fama del genio. Ma i genii, si sa, paradossalmente più sono tali e meno sono conosciuti. I fiumi di parole scritti in cinque secoli su Raffaello, Leonardo e Michelangelo hanno contribuito alla loro mitizzazione, non alla loro riscoperta come uomini, al loro percorso umanissimo e sudatissimo, che è interessante soprattutto nelle fase della formazione.
Il piccolo Leonardo disegnava ancor prima di parlare e Michelangelo spaccava pietre ancor prima di camminare… Per Raffaello è stato diverso: suo padre, Giovanni Santi, era un intellettuale di rango alla corte dei Montefetro a Urbino e oltre a possedere la bottega d’arte più rinomata in città. Raffaello è un figlio d’arte, alla morte del padre prenderà le redini della bottega di famiglia che continuerà a seguire anche durante i suoi spostamenti, all’età di 17 anni era già magister, ovvero aveva il titolo e la capacità di stilare contratti, curandone tutti gli aspetti, per conto della sua bottega. Raffaello giovanetto, quindi, interromperebbe questo percorso per andare a bottega da Perugino? Come dice il Vasari (più mitografo che storico…)
L’informazione data dal Vasari ha travisato la ricerca storica, ma le mostre organizzate a Urbino negli ultimi anni e le scoperte fatte in Umbria raccontano tutta un altra storia: quando Raffaello mette piede a Perugia nel 1500 il rapporto con Perugino non è da maestro-allievo ma già da competitor
Numerosi documenti, conservati all’Archivio di Stato di Perugia, dimostrano la fama raggiunta da Raffaello già dal 1503 oltre all’ampiezza del suo raggio d’azione: non solo Perugia, ma Città di Castello, Gubbio, Assisi, Spello, Spoleto, ossia la dorsale umbro-marchigiana che allora non divideva la regione Umbria dalla regione Marche ma era il punto di contatto tra il Ducato di Montefeltro, la Signoria dei Vitelli a Città di Castello, la Diocesi di Spoleto, lo Stato Baglionesco in Umbria che aveva per capitali Spello e Perugia.
Non è un caso che la mano del giovane Raffaello si ritrovi su un’opera ancora ascrivibile alla bottega di Giovanni Santi che si trova a Gubbio, oggi città umbra ma allora centro nevralgico del Ducato di Montefeltro; come non è un caso che prima di arrivare a Perugia per sbaragliare Perugino (e non per diventare un suo allievo) il giovane Raffaello si sia fatto le ossa in Umbria grazie a due amici del padre, e suoi stretti collaboratori, oltre ad essere i suoi due esecutori testamentari, che sul letto di morte avranno assunto anche il ruolo di padrini dell’undicenne Raffello: sarà infatti Evangelista da Pian di Meleto ad affiancare Raffaello nella prima commissione a Città di Castello e Ambrogio Barocci da Milano a introdurlo nei cantieri di Pintoricchio al Duomo di Spoleto e alla Collegiata di Spello.
Dopo 500 anni dalla sua morte la fama di Raffaello continua a pulsare a Firenze, a Roma, come a San Pietroburgo, Londra o New York, ciò che va riconosciuto al documentario “Raffaello. Il Genio Sensibile” (disponibile su RaiPlay) è di aver dato spazio a quel territorio che ha visto muovere i primi passi del genio, quelle radici umbro-marchigiane di Raffaello che ci riserveranno ancora molte sorprese…
Benedetta Tintillini

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